Introduzione al Seminario sul tema dell'autonomia

Riportiamo di seguito il documento di sintesi elaborato dall'Istituto Psicanalitico per le Ricerche Sociali (IPRS) in occasione del Seminario sul tema dell'autonomia svoltosi a Roma il 12 novembre 2018.

Giornata di riflessione e confronto:  SEMINARIO SULL’AUTONOMIA  -  12 Novembre 2018, ore 15-19

Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali - Passeggiata di Ripetta, 11 - 00186 Roma


 

Il progetto Fra Noi, progetto di “Potenziamento del sistema di 1° e 2° accoglienza - Completamento del percorso di autonomia dei titolari di protezione internazionale, intrapreso nel circuito di accoglienza SPRAR, attraverso la definizione e realizzazione di un piano individuale che preveda interventi mirati di inserimento socio-economico” a valere sul fondo FAMI (Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2020) ha previsto la creazione di una rete nazionale a sostegno dei percorsi di autonomia dei Titolari di Protezione Internazionale che consentisse la messa in comune tra diversi territori di risorse e opportunità per i destinatari, così da incrementare il successo dei percorsi di integrazione dei singoli; lo sviluppo di un sistema integrato e condiviso a livello nazionale di monitoraggio, valutazione e follow-up dei percorsi di autonomia; e lo scambio di buone prassi tra i diversi territori. L’ampia partnership di progetto (52 partner presenti in 10 regioni con reti che coinvolgono attori sia pubblici che privati per un totale di circa 200 professionalità coinvolte) ha consentito un’analisi di ampio respiro degli esiti del percorso SPRAR in territori molto diversi tra loro, nel tentativo di definire percorsi di integrazione, e modalità di accompagnamento, complementari rispetto a quanto realizzato nel percorso SPRAR.

Non potrà sfuggire come l’iniziativa del FAMI, cui il progetto Fra Noi ha risposto, abbia introdotto almeno due elementi d’innovatività: l’uno riferendosi al tema dell’autonomia, l’altro destinando le iniziative di sostegno ai soggetti usciti dal sistema SPRAR. Questo, di fatto, ha prodotto una sorta di salutare disorientamento tra gli operatori, stimolando una riflessione sul loro ruolo; sul senso del funzionamento del sistema SPRAR; su cosa volesse dire agire sui destinatari degli interventi una volta che questi fossero fuoriusciti dal sistema. Ma, soprattutto, ci si è chiesti quando si potesse considerare il soggetto autonomo, e soprattutto in che senso; come tale condizioni di autonomia potesse essere misurata: se riferendosi a dati concreti, fattuali (contratto di lavoro, contratto di affitto); o invece considerando dimensioni più immateriali (capacità di orientarsi nel contesto sociale; capacità di self-promotion; etc.). Tutto questo, ha aperto dei grandi spazi di riflessione che interrogano non soltanto coloro che operano nel sistema dell’accoglienza, ma più in generale tutti coloro che guardano con attenzione ai fenomeni sociali che interessano la nostra comunità. Ecco perché auspichiamo di avere un panel composto sì da coloro che abitualmente lavorano sul tema migratorio ma anche da intellettuali di discipline diverse quali la sociologia, la filosofia, l’economia, per provare insieme ad illuminare il percorso e offrire strumenti concettuali che possano aiutare a trovare risposte alle domande che di seguito vengono poste. Tra le varie piste emerse abbiamo deciso di individuarne quattro dettagliate nei prossimi paragrafi, come stimolo per il confronto nell’ambito dell’iniziativa che si terrà il prossimo 12 novembre.

1. Dall’integrazione all’autonomia

Sebbene la parola integrazione sia un termine con il quale gli studi sull’immigrazione si sono spesso confrontati, la riflessione su cosa significhi non è andata molto oltre la densa definizione datane da Giovanna Zincone nel Primo Rapporto sull’Integrazione degli immigrati in Italia (2000). Assumere come obiettivo quello del raggiungimento dell’autonomia da parte dei beneficiari del circuito SPRAR, come ha inteso fare il progetto FRA NOI, apre la strada a un’ermeneutica dell’integrazione certamente più ricca e più articolata. Ragionare infatti in termini di autonomia, e lasciare sullo sfondo pertanto il tema dell’integrazione così come tradizionalmente viene inteso – e misurato – non significa operare semplicemente uno slittamento linguistico del termine integrazione, quanto piuttosto spostare l’attenzione su altri orizzonti di senso e di significato (una nuova semantica dunque per l’integrazione) e obbligare di conseguenza a ri-pensare e ri-considerare gli obiettivi delle politiche legate ai migranti e ai processi migratori.

Ma che cosa si intende per autonomia? Esiste un significato oggettivo e trasversale alle diverse figure che nel sistema dell’accoglienza si occupano di promuoverla o il legislatore, l’operatore, lo scienziato sociale possiedono un paradigma interpretativo distinto? E, in un caso come nell’altro, a quale categorie concettuali facciamo riferimento quando parliamo di autonomia? Essa va intesa come acquisizione di un lavoro o di una qualche forma di stabilità abitativa? (richiamando in qualche alla dimensione economica dell’integrazione)? O va intesa come sostegno al potenziamento del capitale sociale e umano (e qui scivolando di più verso la dimensione più sociale evocato dal concetto di integrazione della letteratura sociologica)? O l’autonomia cui ci si riferisce rimanda, piuttosto, al concetto di “agency”, ovvero quale accresciuta possibilità di autodeterminazione (espansione delle proprie capacità nel determinare la qualità della vita e nel conseguire un ruolo attivo nel contesto sociale, nella realizzazione di se stesso e dei propri valori). O, ancora, dovremmo piuttosto prendere in considerazione il concetto di capability evocato da Amartya Sen?

2. Gli attori dell’autonomia

Strettamente connesso a questa prima riflessione, il tema degli attori responsabili dei processi di autonomia. Certamente gli operatori del sistema dell’accoglienza concorrono in prima persona a costruire e ad attivare tali percorsi. Ma fino a dove deve arrivare questo intervento per non creare dinamiche di dipendenza e di intrappolamento dei beneficiari all’interno del sistema di accoglienza? Come promuovere l’effettivo sganciamento dei beneficiari dal sistema? E inoltre, quanto concorrono gli altri attori territoriali alla costruzione del percorso di autonomia? E come si distribuisce il carico di responsabilità tra i diversi attori, non solo rispetto alla definizione del percorso ma anche rispetto agli esiti? Ed eventualmente, come queste responsabilità diverse devono interagire e dialogare tra di loro, soprattutto se per autonomia si intende l’accresciuta funzione di agency di un individuo nella costruzione del proprio benessere? Con quali obiettivi?

3. Il tempo dell’autonomia

Il tempo dell’accoglienza, e quindi implicitamente di proiezione verso l’autonomia, è un tempo definito. Ma la domanda che sorge è: in che modo questo tempo è stato stabilito? Sulla base di quali considerazioni il legislatore ha ritenuto che il tempo necessario al conseguimento dell’autonomia non dovesse tendenzialmente superare i sei mesi, o, al massimo, i dodici mesi? Sulla base di una valutazione dei fabbisogni delle persone accolte? Della qualità delle strategie e delle risorse messe in campo? Delle risposte effettivamente offerte a tali bisogni? E, inoltre, quando, come spesso accade, l’obiettivo dell’autonomia (qui semplicemente intesa come uscita diciamo volontaria dell’utente dal sistema di accoglienza) in questo arco temporale non viene raggiunto, a chi bisogna attribuirne la responsabilità? Ai tempi stretti imposti dal legislatore? Agli operatori e alla qualità degli interventi messi in campo? Ai vari attori del sistema e alla mancanza di sinergia tra di essi? Alle opportunità, scarse, del territorio? O al beneficiario, che non è stato in grado di cogliere le opportunità che il sistema gli ha messo a disposizione? E infine, ha senso stabilire una dimensione temporale quale letto di Procuste dei percorsi di accoglienza?

4. Il luogo dell’autonomia

Dal tempo, al luogo. Le riflessioni finora trattate si riconnettono inevitabilmente al contesto in cui il percorso di autonomia si deve realizzare. E non si tratta di una questione di poco conto, perché il luogo influenza qualità e contenuti dei percorsi di autonomia. Accoglienza diffusa, accoglienza in famiglia o accoglienza presso le strutture? Quali di questi percorsi garantisce al meglio gli obiettivi dell’accoglienza lungo la strada che porta all’autonomia? Oggi, le strutture sono il modello dominante, esse non solo forniscono accoglienza per l’autonomia ma ne concettualizzano anche il significato. Ma le strutture di accoglienza con le rigidità loro proprie, le loro regole e i loro tempi possono costituire contesti di promozione dell’individuo? Se no, ciò dipende dall’inadeguatezza temporale o dai meccanismi organizzativo-procedurali delle strutture? E allora ha senso pensare a un’estensione dei percorsi di autonomia nell’aftercare, che consentirebbero all’individuo l’acquisizione di una funzione di agency secondo quella che poco sopra abbiamo definito una temporalità soggettiva dei percorsi lungo il conseguimento dell’autonomia, che permetterebbe all’individuo di coltivare, secondo i propri tempi, appunto, una capacità personale libera di scegliere in modo consapevole e di ottenere lo stile di vita corrispondente ai propri ideali e alle proprie potenzialità?

Il percorso d’accoglienza per un rifugiato può concludersi immediatamente dopo il riconoscimento dello status, oppure, per coloro che hanno avuto l’opportunità di entrare in un progetto SPRAR, entro i sei mesi successivi, a meno che non siano sorti elementi che abbiano suggerito un ulteriore periodo di proroga (al massimo di ulteriori 6 mesi). Per tutti, comunque, c’è l’esigenza di poter usufruire di un sostegno in questa fase di passaggio che molto spesso risulta particolarmente difficoltosa. Al contrario una gestione corretta di questa transizione rappresenta un aspetto cruciale dei processi d’integrazione. Per molti rifugiati il termine del percorso dell’accoglienza, senza alcun tipo di supporto nella prima fase di autonomia, rischia di risolversi in un fallimento.

 

L'accoglienza in famiglia come strumento di autonomia

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