Le Storie Fra Noi

Il racconto dei protagonisti del progetto Fra Noi

Maiga è arrivato dal Mali che era ancora un ragazzino ed è stato accolto in quello che lui chiama, ancora oggi "il campo dei bambini”.
Appena maggiorenne è stato trasferito a Matera e, quando gli è stata riconosciuta la protezione internazionale è entrato nel progetto FAMI Fra Noi. Gli è stato proposto un tirocinio lavorativo in un resort, un'opportunità che ha fatto fruttare molto bene.
Oggi ha 19 anni e dopo i 5 mesi di tirocinio hanno voluto assumerlo. “Ogni mattina prendo il bus e vengo al lavoro. Ora però sto anche facendo la scuola guida per prendere la patente”
Il suo datore di lavoro racconta che all'inizio temevano il risultato di questa prova “la difficoltà della lingua ci metteva un po' in ansia, perché era necessario che capisse bene le consegne. Ma la sua tenacia ci ha colpito. Ha girato varie mansioni per imparare più cose possibili abbiamo confermato il suo incarico perché è diventato praticamente indispensabile, proprio per il suo essersi messo a disposizione di tutti il suo essere sempre pronto”.
In azienda lo segue Michele, il suo tutor. Che confida che Maiga lo chiama zio, e lui ricambia l'affetto “Guai a chi me lo tocca. È come un figlio. Che tipo è? È un ragazzo educato, ha voglia di imparare ed è un grande lavoratore. E poi è uno precisino. Se fa un lavoro, lo deve fare per bene. È buono, disponibile, generoso”.

Tresor oggi ha 35 anni ed è arrivato in Italia da due anni.
Nel suo Paese, in Congo, ha lavorato per tanti anni come muratore e piastrellista professionista. Nella sua formazione ci sono anche due anni di studi all'università di Kinshasa, facoltà di architettura.
È scappato dalla sua casa, con la sua famiglia, a causa di violenze e minacce, ma la morte li ha falciati lungo la strada. In mare, per l'esattezza, a tre ore di viaggio dalle coste libiche
Uno dei suoi figli cadde in acqua e Judit, sua moglie, si tuffò per salvarlo. Ma entrambi non hanno avuto scampo.
Il corpo del bambino non è stato mai trovato, ma quello della moglie per lui è stato un bene prezioso. Per lui era importante poterla seppellire, avrebbe voluto farlo nel suo Paese. “Non potevo lasciarla là come un animale. Dovevo onorarla”. L'ha seppellita nel cimitero di Matera. Ora sta progettando di farle una lapide speciale, con delle piastrelle fatte da lui.
“Non è stato facile portare avanti la famiglia da solo, in Italia. L'integrazione, la lingua, trovare il lavoro, crescere due bambini, è stato difficile”.

Grazie al progetto FAMI Fra Noi ha trovato lavoro in un'impresa edile. Il proprietario dell'impresa, Laurentiu, lo ha inserito nella squadra che si occupa dei restauri conservativi del centro storico di Matera.
“Da Trevor abbiamo ottimi risultati – dice di lui il proprietario, anch'egli a suo tempo immigrato (dalla Romania) e oggi imprenditore da dieci anni – ha avuto tanti pensieri e problemi e stiamo cercando di dargli una mano, una possibilità di lavorare e stare bene con noi in Italia. Io non faccio differenze tra italiani, marocchini, tunisini...: l'importante è che ciascuno faccia il proprio dovere”.

“Quando dicevo che ero muratore e piastrellista professionista all'inizio non mi credeva nessuno, perché sono nero e i neri, dicono, non sanno fare niente. Matera è bellissima, non avevo mai visto niente del genere nella mia vita. È bello che io, che sono nuovo qui, sia qui ad aggiustare le case vecchie”.
Lui è capace anche di fare progettazione di interni e adesso sta imparando a usare i software dedicati: “Vorrei portare questa tecnologia nel mio Paese. Ma non subito, è troppo presto. Il mio Paese mi ricorda mia moglie e soffro ancora troppo”.

Oggi, dopo due anni, non è più solo. Lui e la sua compagna hanno avuto una bambina, a cui hanno dato un nome per ricordare la madre degli altri bambini, e che significa “Judit è viva”.
La vita va avanti.

In Somalia, Hiba ha lasciato la sua terra lacerata dal conflitto e la sua famiglia che ancora oggi rischia la vita. La rischiava anche lei, nel suo paese, e l'ha rischiata ogni giorno del suo viaggio che l'ha portata in Italia.

Nel nostro Paese è stata riconosciuta rifugiata politica ed è stata accolta prima a Milano, in un centro del sistema SPRAR di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo promosso dal Ministero dell'Interno, dove ha potuto imparare l'italiano, prendere il diploma di terza media e fare un'esperienza di lavoro – grazie a borse lavoro attivate per chi è in situazioni di difficoltà – in un asilo nido e in una casa di riposo, dove si è occupata delle pulizie e della preparazione dei pasti.


Da un anno ha un vero contratto di lavoro dipendente e, al termine del periodo di accoglienza nello SPRAR, è stata inserita nel progetto FAMI Fra Noi per permetterle di rafforzare le radici che stava mettendo. Oggi vive a Como, accolta alla Casa della Giovane, un pensionato femminile nel quale Habi vive pagando un contributo spese, e grazie alle ragazze che vivono con lei nel pensionato e i suoi colleghi sta imparando a conoscere la sua nuova città.

Non bastava che fosse rimasta orfana di entrambi i genitori da ragazzina.

A Samia doveva toccare anche un'altra disgrazia. Venne affidata a uno zio, che invece di proteggerla abusò di lei.

Riesce a scappare dal suo Paese, il Ghana, e arriva in Italia un anno fa, quasi maggiorenne. Viene accolta in un centro per minori stranieri non accompagnati a Torino, ma compie i 18 anni proprio durante le lungaggini delle procedure di richiesta di asilo politico.

Gli operatori approfittano di quei mesi di accoglienza per aiutarla a imparare l'italiano e prendere il diploma di licenza media e, al compimento della maggiore età, il progetto FAMI Fra Noi è la sua opportunità per non essere abbandonata a se stessa.


Una famiglia si rende disponibile a ospitare Samia in casa propria, ma lei sta a Torino, loro a Como. Si incontrano diverse volte, in una e nell'altra città, e da giugno la ragazza vive con la sua nuova famiglia tutor. Insieme agli operatori del FAMI, la sua famiglia la sta aiutando a trovare un lavoro e a breve inizierà il suo tirocinio nel settore alberghiero.

Wasan non ha ancora 40 anni, ma la sua storia sembra quella di una persona che ha molti anni e pesi sulle spalle. Dopo la fuga dal suo Paese, l'Afghanistan, in Italia ha passato tutta la trafila dei centri di accoglienza: prima in un CAS, i centri di accoglienza straordinaria, poi un anno e mezzo in un centro SPRAR.

Sottocategorie

Storie

Le nostre storie