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L'accoglienza in famiglia come strumento di autonomia

10novembre 3Qualche momento dell'apertura dell'incontro di oggi: L'accoglienza in famiglia di rifugiati come strumento di autonomia, il seminario residenziale che permetterà a una trentina di persone, fra famiglie ospitanti, rifugiati ospiti, opertori e ricercatori una riflessione articolata ed un confronto fra le loro esperienze di accoglienza.

Perchè si apre la propria casa a uno straniero, un immigrato, una persona che non si conosce e che entrerà nella propria intimità?

 

- Perché poteva essere un insegnamento per i nostri bambini
- Perché devo tenere due camere vuote dal momento che i miei figli, ormai grandi, vivono con le loro famiglie?
- L'abbiamo fatto per dare un momento di respiro al suo percorso faticoso, per il desiderio di accompagnarlo un po'
- Per portare una ricchezza nella nostra famiglia
- Desideravamo fornire uno spazio in cui la persona accolta poteva riposarsi e trovare una ripartenza
- In casa si è creata un'alleanza educativa, i nostri figli fanno ora cose che prima non facevano, danno più valore e più senso a certi gesti
- Me l'ha proposto mia sorella, all'inizio ero titubante, ma ora, tutte quelle paure che avevo all'inizio non le avrei più
- E' una esperienza molto bella! Lui si sente in famiglia, ha nostalgia della sua, e quando c'è da lavorare è sempre disponibile, non si tira mai indietro

 Sono le risposte che hanno dato alcune famiglie alla domanda: "Perché avete deciso di aderire alla proposta di accogliere un rifugiato per sei mesi in casa vostra?"

"Ci vuole cuore esperienza e mani per fare accoglienza in famiglia" (Cristina De Luca)

E, come spiega Marco Polo al Khan (Le città invisibili di Calvino), che gli dice: "Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente", "L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non  soffrirne.  Il  primo  riesce  facile  a  molti:  accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto  di  non  vederlo  più.  Il  secondo  è  rischioso  ed  esige  attenzione  ed  apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."

 

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